domenica 8 luglio 2012

L'ago della macchina Singer

L'ago della macchina da cucire Singer. (dal mio libro Marucumbo).
A quel tempo, così come non si vendevano scarpe, ma erano fatte su misura dal calzolaio, così non esistevano vestiti già fatti , nè si trovava facilmente la stoffa per farne. Melina era brava a cucire con
la macchina Singer, avendo imparato da sola, utilizava ogni vestito smesso, ogni pezzetto di stoffa, che con la sua grande abilità, tramutava in ottimi indumenti, specie per noi bambini. Sapeva anche
filare la lana, la stoppa fatta con la fibbra di ginestra e sapeva anche tessere nel vecchio telaio, messo in un angolo della casa. Faceva tela di ginestra per ruvide lenzuola e belle coperte di seta ricavate dal
filugello allevato in casa.
Proprio in quel periodo, ere appena finita la seconda guerra mondiale, ero rimasta a corto di vestiti, non c'era neanche uno scampolo che mia mamma mi potesse cucire.  Vestivo una gonnellina di lana
fatta ai ferri e una misera canottiera scolorita. Per questo motivo avevo ordine da mia mamma Melina, se passava qualcuno, ma era raro che da quella stradina di campagna che costeggiava casa
nostra passassero delle persone, di tenermi nascosta: così mal vestita potevo sfigurare.
Io però trovavo sempre il modo di comparire a sorpresa, non mi interessava la mala figura, volevo
vedere lo stesso un volto nuovo in quella solitudine di campagna.
Melina mi cucì dopo, un bel vestitino alla marinaretta, utilizzando due sacchetti di tela bianca che
servivano a contenere lo zucchero. Peccato che durò meno di un mese!
Bene, un giorno, mentre cuciva una stoffa un pò più dura, l'ago della Singer si ruppe. Lei si disperò,
si disperò, si disperò. Poi mi dette l'incarico di andare da Carlotta, se mi prestava il suo.
Carlotta era una signorina di circa quarant'anni,sua amica, forse l'unica, che abitava giù nella valle,
proprio di rimpetto a noi. Ci andai volentieri, anche se faceva un gran caldo, perchè la sua casa mi
piaceva, tutta bianca tra il verde dei fichi d'india e ben ordinata dentro. Nella cristalliera aveva poi un
cavalluccio di legno che mi dava da tenere e da giocare per un pò. Inoltre Carlotta mi piaceva perchè
voleva bene a mia mamma e come lei cantava una canzone che stimolava molto la mia fantasia,
cantata da Rabagliati e si intitola "Vento". "Sussurra il vento come quella sera, vento d'aprile, di
primavera.........". Era l'unica canzone che sentivo cantare a mia madre o forse la sola che ricordo
perchè lei non si lasciava andare ad essere spensierata e felice.
Ma torniamo all'ago per la macchina da cucire. Dunque Carlotta mi diede l'ago, appuntandolo su un
pezzetto di carta e mi raccomandò di non perderlo, perchè aveva quello solo.
Presi la via del ritorno, nel gran caldo dell'ora più assolata e con la testa piena di fantasie dei miei
nove anni. Sudata ed accaldata, quasi stordita, camminavo lenta tra il viottolo costeggiato di fichi
d'india spinosi, accompagnata dall'assordante frinire delle cicale. Sognavo viaggi.  Sognavo terre e paesi lontani e, guardando verso il poggio di San Giovanni, speravo di vedere arrivare da Palizzi,
Maria e Giuseppina,le mie carissime cugine e compagne di giochi, così poco frequentate ma così desiderate: "Ciao Giuseppina, ciao Maria, come sono felice di vedervi! Sapete cosa stavo pensando?
Che proprio voi stavate arrivando da Palizzi ed io vi dicevo: sapete cosa stavo pensando....? e ripetevo questo discorsetto tra me e me, perchè Giuseppina e Maria non c'erano se non nel desiderio
di vederle. Intanto che inseguivo queste fantasticherie, via via passando tra i fichi d'india, con l'ago
prezioso della macchina da cucire, facevo piccoli disegni sulle pale spinose ( pittari ), incidendo
fiori e casette, alberi e farfalle. Tra un sogno e un disegnino, sotto il caldo sole dell'estate, attraversai
tutta la Carcara ed entrai nella frescura della foresta, dove iniziava la salita verso casa.
Ah, finalmente un pò d'ombra, ma.... dov'è l'ago, dov'è finito ? Come farò a tornare a casa? Oh nonna
Teresa perchè non passi di qua e mi vedi mentre piango e mi aiuti? Perchè non vai tu da mia mamma e glielo dici tu che ho perso l'ago? Ma la nonna non c'era e toccò a me affrontare la furia di Melina da sola. Melina infatti si disperò si disperò e si disperò (era nella sua natura) ed io mi sentivo l'artefice
di una grande disgrazia. Il senso di colpa era IRREPARABILE. Mi sentivo piccola piccola e volevo
morire. Poi Melina si calmò, si fece raccontare da me quello che avevo fatto e dove pensavo di aver perso l'ago. "Fino alle pittari della Carcara ce l'avevo" e così, passando palmo a palmo le pittari riuscì a trovarlo e per quel giorno la bufera finì.

7 commenti:

  1. Bel racconto,misto a un po di nostalgia,che ci fa dimenticare anche i lati meno belli e più duri della vita di quei nostri tempi.
    E' un piacere visitare per la prima volta il tuo blog,ancora giovane,ma sono certa che si arricchirà ogni giorno di novità e piacevoli racconti.Un abbraccio-Chichina, ma anche Rina..

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  2. Questo tuo commento è stato il primo. Lo accetto come augurio di ben continuare. Ciao Tita

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  3. mi aggiungo nel ben arrivata sul blog. Un racconto che conoscevo avendo letto il tuo libro e che rileggo co piacere
    ciao Nina

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  4. Grazie Nina del tuo benvenuto Tita

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  5. Bello. ma mi piace sentire il suono dei luoghi
    e vederli lontani tra la foschia della calurra
    e sentire quel sole che picchia
    un ramarro che scappa tra l'erba secca...
    Ti vedo sai birbante d'una bambina distratta

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  6. Distratta e sognatrice. Parlavo con gli insetti e col vento; ho
    tanta tenerezza per quella bambina' senza amiche, ma con tutta la natura intorno. Grazie Massimo per la tua sensibilità.

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