sabato 14 luglio 2012

Marucumbu.

Marucumbu è una campagna sperduta dalle parti di Palizzi Superiore, dove ho trascorso, insieme a tutta la mia famiglia, la mia infanzia dai cinque agli undici anni, subito dopo la seconda guerra mondiale e dove, mancando la scuola, l'unica maestra era la Natura, che stimolava sogni e fantasie, pensieri e desideri. I ricordi di quel periodo sono vividi nella mia testa, come se invece dei quasi cinquant'anni fossero passati pochissimi.
Oggi, dopo una vita di lavoro, posso dire di essere contenta di me stessa, anche se non tutto è successo come avrei voluto, ma mi sono ripromessa, in questo spazio, per ora, di parlare ancora di quel periodo, come se rivivessi i miei cinque, sei, sette ...anni e tutte le emozioni legati a quel periodo.
Tornato dal confino politico mio padre, che aveva trascorso quattro anni all'isola di Lampedusa, ci trasferimmo in campagna Marucumbu. Lì c'erano i nonni materni Teresa e Saverio e tutte le loro proprietà, che erano tante, passarono in affitto ai miei genitori, avendo mio padre pagato un loro debito di cinquemila lire, con la banca: appunto il corrispondente dell'affitto per cinque anni.
Coi nonni c'era anche la zia Peppina, la più bella delle sorelle di mia mamma: aveva avuto un figlio, Peppineddu, senza essere sposata.
La mia famiglia allora era formata da mio padre, Mico, da mia madre Melina, dalla mia sorella maggiore Chicca (Cristina), da mio fratello Pino, da me Teresa, da Cilla, e dagli ultimi tre fratelli, nati
proprio in quella campagna: Fernanda, Fiorenzo, Iole.
..... Ricordo poi la vigna e i suoi filari
e di zibbibbo i grappoli maturi
i fichi d'india, i grilli le cicale
l'ora infuocata satura di odori,
di nepetella che ancor mi inebria il cuore.
A piedi nudi sui morbidi prati
raccoglievamo bianche margherite
e papaveri rossi tra il frumento:
noi sognavamo di andare via col vento
volare in alto in alto su nel cielo,
a cavalcioni sull' arcobaleno.


domenica 8 luglio 2012

L'ago della macchina Singer

L'ago della macchina da cucire Singer. (dal mio libro Marucumbo).
A quel tempo, così come non si vendevano scarpe, ma erano fatte su misura dal calzolaio, così non esistevano vestiti già fatti , nè si trovava facilmente la stoffa per farne. Melina era brava a cucire con
la macchina Singer, avendo imparato da sola, utilizava ogni vestito smesso, ogni pezzetto di stoffa, che con la sua grande abilità, tramutava in ottimi indumenti, specie per noi bambini. Sapeva anche
filare la lana, la stoppa fatta con la fibbra di ginestra e sapeva anche tessere nel vecchio telaio, messo in un angolo della casa. Faceva tela di ginestra per ruvide lenzuola e belle coperte di seta ricavate dal
filugello allevato in casa.
Proprio in quel periodo, ere appena finita la seconda guerra mondiale, ero rimasta a corto di vestiti, non c'era neanche uno scampolo che mia mamma mi potesse cucire.  Vestivo una gonnellina di lana
fatta ai ferri e una misera canottiera scolorita. Per questo motivo avevo ordine da mia mamma Melina, se passava qualcuno, ma era raro che da quella stradina di campagna che costeggiava casa
nostra passassero delle persone, di tenermi nascosta: così mal vestita potevo sfigurare.
Io però trovavo sempre il modo di comparire a sorpresa, non mi interessava la mala figura, volevo
vedere lo stesso un volto nuovo in quella solitudine di campagna.
Melina mi cucì dopo, un bel vestitino alla marinaretta, utilizzando due sacchetti di tela bianca che
servivano a contenere lo zucchero. Peccato che durò meno di un mese!
Bene, un giorno, mentre cuciva una stoffa un pò più dura, l'ago della Singer si ruppe. Lei si disperò,
si disperò, si disperò. Poi mi dette l'incarico di andare da Carlotta, se mi prestava il suo.
Carlotta era una signorina di circa quarant'anni,sua amica, forse l'unica, che abitava giù nella valle,
proprio di rimpetto a noi. Ci andai volentieri, anche se faceva un gran caldo, perchè la sua casa mi
piaceva, tutta bianca tra il verde dei fichi d'india e ben ordinata dentro. Nella cristalliera aveva poi un
cavalluccio di legno che mi dava da tenere e da giocare per un pò. Inoltre Carlotta mi piaceva perchè
voleva bene a mia mamma e come lei cantava una canzone che stimolava molto la mia fantasia,
cantata da Rabagliati e si intitola "Vento". "Sussurra il vento come quella sera, vento d'aprile, di
primavera.........". Era l'unica canzone che sentivo cantare a mia madre o forse la sola che ricordo
perchè lei non si lasciava andare ad essere spensierata e felice.
Ma torniamo all'ago per la macchina da cucire. Dunque Carlotta mi diede l'ago, appuntandolo su un
pezzetto di carta e mi raccomandò di non perderlo, perchè aveva quello solo.
Presi la via del ritorno, nel gran caldo dell'ora più assolata e con la testa piena di fantasie dei miei
nove anni. Sudata ed accaldata, quasi stordita, camminavo lenta tra il viottolo costeggiato di fichi
d'india spinosi, accompagnata dall'assordante frinire delle cicale. Sognavo viaggi.  Sognavo terre e paesi lontani e, guardando verso il poggio di San Giovanni, speravo di vedere arrivare da Palizzi,
Maria e Giuseppina,le mie carissime cugine e compagne di giochi, così poco frequentate ma così desiderate: "Ciao Giuseppina, ciao Maria, come sono felice di vedervi! Sapete cosa stavo pensando?
Che proprio voi stavate arrivando da Palizzi ed io vi dicevo: sapete cosa stavo pensando....? e ripetevo questo discorsetto tra me e me, perchè Giuseppina e Maria non c'erano se non nel desiderio
di vederle. Intanto che inseguivo queste fantasticherie, via via passando tra i fichi d'india, con l'ago
prezioso della macchina da cucire, facevo piccoli disegni sulle pale spinose ( pittari ), incidendo
fiori e casette, alberi e farfalle. Tra un sogno e un disegnino, sotto il caldo sole dell'estate, attraversai
tutta la Carcara ed entrai nella frescura della foresta, dove iniziava la salita verso casa.
Ah, finalmente un pò d'ombra, ma.... dov'è l'ago, dov'è finito ? Come farò a tornare a casa? Oh nonna
Teresa perchè non passi di qua e mi vedi mentre piango e mi aiuti? Perchè non vai tu da mia mamma e glielo dici tu che ho perso l'ago? Ma la nonna non c'era e toccò a me affrontare la furia di Melina da sola. Melina infatti si disperò si disperò e si disperò (era nella sua natura) ed io mi sentivo l'artefice
di una grande disgrazia. Il senso di colpa era IRREPARABILE. Mi sentivo piccola piccola e volevo
morire. Poi Melina si calmò, si fece raccontare da me quello che avevo fatto e dove pensavo di aver perso l'ago. "Fino alle pittari della Carcara ce l'avevo" e così, passando palmo a palmo le pittari riuscì a trovarlo e per quel giorno la bufera finì.

giovedì 5 luglio 2012